Comune di Milano – la Pecora Rossa edizione speciale

Piano Occupazionale così non va!!!

Nel passato numero della Pecora Rossa vi abbiamo proposto gli inesorabili dati del personale del comune di Milano a certificare da un lato la progressiva diminuzione anno dopo anno, al di là dei proclami, e dall’altro l’altrettanto progressivo invecchiamento della dotazione organica dell’ente in cui lavoriamo, su cui occorrerebbe un ragionamento ulteriore per permettere la sopravvivenza dell’amministrazione comunale per come la conosciamo in seguito ad un uscita di massa a causa pensionamento. E non c’è riforma pensionistica al mondo che possa evitare questo scenario: in un contesto in cui la PA non assume più prima che poi i nodi vengono al pettine. I tagli imposti agli enti locali dell’ultima legge di stabilità palesano davanti ai nostri occhi, appunto, un nodo inestricabile, che mette in discussione in primo luogo la natura pubblica e pressoché gratuita dei servizi locali ed in secondo luogo l’inquadramento contrattuale di chi li fornisce, sempre meno impiegati pubblici e sempre più precari a tempo indeterminato, fra le forche caudine del Jobs Act e dei rapporti contrattuali aziende-soggetto pubblico. Nel Comune di Milano, dalla DC SIAD all’Area Riscossione, numerosi sono oramai i settori a gestione “mista”, e nuove esternalizzazioni saranno alle porte se verrà confermato il piano di Malangone di voler ridurre il turn over ad 1/3 dei dipendenti che conquisteranno la pensione nei prossimi 3 anni. Inutile ricordare che la diminuzione dei servizi colpirà chi ne usufruisce maggiormente, ovvero il ceto più debole, e che sebbene non ci troviamo d’accordo in merito ai tagli stabiliti dall’ultima scellerata legge di stabilità è anche utile ricordare come questi fondi potrebbero essere recuperati attraverso la fiscalità locale andando a colpire in primis le proprietà plurime, per una vera redistribuzione della ricchezza. Ci troviamo d’accordo anche con coloro che affermano l’esigenza di non sperperare fondi pubblici per avventure improbabili quali le Olimpiadi 2026 o la riapertura dei Navigli, quest’ultima non a caso già oggetto di revisione da parte della giunta ed uscita a quanto pare dall’agenda politica dei prossimi anni. Se al suo posto entrerà una nuova politica pubblica che rimetta al centro il servizio pubblico locale, questo sarà anche dovere delle oo.ss. chiamate a recuperare il rapporto perso coi dipendenti negli ultimi anni attraverso una mobilitazione determinata ed in grado di non arretrare, senza concedere armistizi in cambio di briciole. La vertenza messa in piedi nell’ultimo triennio ci sia da monito.

Money, money, money

Sono ormai decenni che i tagli dei servizi pubblici si fanno sempre più pesanti, la giustificazione ufficiale è sempre la stessa: la… mancanza di soldi.
Con questa formuletta magica governanti di ogni colore (centro dx e centro sx) hanno tagliato il personale del pubblico impiego, hanno bloccato i contratti, hanno bloccato il turn over, hanno privatizzato i servizi.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Servizi pubblici, sempre più scadenti. Settori nevralgici come la Sanità o la Pubblica Istruzione in grande sofferenza.
Stipendi ridotti ai minimi termini con l’aggravio del blocco degli straordinari, l’impoverimento è sempre più evidente.
Personale sempre più anziano (fra i più vecchi in Europa) e che fa sempre più fatica a tener su il carrozzone.
Davanti a questo sfascio nessun partito di governo, ha mai voluto attuare un paio di soluzioni semplici, semplici.
Lottare contro l’evasione fiscale, il lavoro nero. Tagliare le spese militari, almeno quelle delle missioni all’estero e l’acquisto di nuovi armamenti (es. gli F35). Anche la mancata sicurezza sul lavoro ha un suo peso notevole.
(sul numero in formato Pdf la tabella con degli esempi)

Il contratto è scaduto vogliamo aumenti reali

Lo scorso 31 dicembre sono scaduti i contratti del pubblico impiego. Si riparte dopo 9 anni di blocco contrattuale e un rinnovo che ci ha dato poco più di un piatto di lenticchie.
Le prospettive non sono rosee. Gli stanziamenti predisposti dal governo per i rinnovi sono assolutamente irrisori. Attualmente sono previsti 1,1 miliardi per il 2019, che diventano 1,45 nel 2020 e 1,78 nel 2021, ma queste cifre vanno decurtate da quelle voci che non sono riconducibili ai rinnovi; dopo questa “pulizia”, per il confronto fra governo e sindacati ai tavoli dell’Aran restano 330 milioni il primo anno, 465 per il 2020 e 815 per il 2021. Stando così le cose si ipotizzerebbe un aumento medio da meno di 10 euro lordi al mese nel primo anno, meno di 13 euro nel secondo e circa 22 nel terzo.
Molto probabilmente in fase di trattativa vi sarà un miglioramento degli importi, ma con un simile presupposto dobbiamo aspettarci ben poco. L’ennesimo contratto al ribasso è dietro l’angolo. Intanto proseguono i tagli, sempre meno straordinari, sempre meno soldi per la produttività, sempre più aumento dei vincoli e limitazioni.
Con l’ultimo contratto si ristringono le possibilità di procedere con progressioni orizzontali che possano essere applicate a tutti i lavoratori, viene previsto un riordinamento dell’indennità di disagio che è facile prevedere tenderà al ribasso.
Prosegue l’impoverimento del lavoratore pubblico, non solo non recupera l’aumento del costo della vita, ma si riducono le possibilità di far quadrare i conti, tramite straordinari, indennità, produttività.
Le politiche collaborative di Cgil, Cisl e Uil che negli ultimi decenni non hanno mobilitato i lavoratori pubblici per un sostanziale miglioramento delle politiche salariali stanno producendo i loro tristi effetti.
Da anni i confederali promettono che il contratto successivo sarà quello buono, continuano a prenderci per il…
Per i lavoratori pubblici sarebbe ora di cambiare pagina e passare a rivendicazioni molto più corpose di quanto fatto fino ad oggi: aumenti di almeno 200 euro, istituzione della 14esima senza intaccare la produttività, finanziamento dei fondi per il salario accessorio e per le Funzioni Locali equiparazione ai livelli contrattuali dei Ministeri.
È utopia? Pensiamo che tutto è possibile se lo si vuole realmente! Ma… i soldi dove li prendiamo? Su questo vi invitiamo a leggere l’apposito articolo in cui ci permettiamo di avanzare qualche proposta.
Possiamo riuscirci? Forse si o forse no! Di certo se non tentiamo non otterremo mai nulla!

Attenti allo scippo del federalismo

La vicenda dell’autonomia regionale differenziata di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna assume a volte toni surreali. Il ministro dell’Interno Salvini ha sostenuto che «tutti i territori, anche quelli del Sud, si avvantaggeranno con le autonomie». Una specie di magia, insomma; tanto che c’è da chiedersi perché non la si sia decisa prima, anche nei lunghi periodi in cui la Lega era al Governo. Il presidente della Lombardia Fontana, continua a sostenere che «avremo gli stessi soldi dallo Stato. Gli altri non ci perderanno niente»: esattamente il contrario di quanto sostenuto da sempre, anche in documenti ufficiali, dagli esponenti leghisti (e in particolare dal suo predecessore). E di quanto invece avverrà.
Armi di distrazione di massa. Con le quali si cerca di addomesticare l’interesse dell’opinione pubblica nazionale per un progetto che cambia profondamente l’organizzazione dell’Italia, modifica il funzionamento dei grandi servizi pubblici, definisce i diritti dei cittadini in base alla loro regione di residenza, deprime il ruolo della Capitale, produce un forte spostamento di risorse all’interno del paese. A questa strategia giova la circostanza che non si conosce il testo delle Intese con le Regioni che il Governo si appresterebbe a firmare il prossimo 15 febbraio.
Circostanza in sé gravissima, per lo stesso funzionamento della democrazia in Italia: ci si troverà con testi firmati che Parlamento e cittadini non avranno avuto modo né di conoscere né di discutere minimamente, pur vertendo su questioni complesse e profonde. Testi che, è bene ricordarlo, il Parlamento potrà solo approvare o respingere, senza poterli modificare. E che, se approvati, non saranno più in alcun modo modificabili senza l’assenso delle Regioni coinvolte, neanche con un referendum.
Non possiamo dimenticare inoltre che il settore più regionalizzato del welfare, la sanità, è peggiorata in tutte le regioni, anche lì dove rappresentava un’eccellenza, come in Lombardia, con liste di attese interminabili nel pubblico, a favore dei privati, dei sistemi di welfare aziendali e delle assicurazioni. Questo anche perché regionalizzazione ha significato privatizzazione, ovvero messa a profitto della salute.
La distribuzione dei fondi statali sarà legata in base ai “fabbisogni standard” definiti in base al gettito fiscale di ogni regione, quindi in funzione della ricchezza dei cittadini di una certa zona geografica, ma questo è un pericolo rispetto al servizio erogato.
In altre parole: i cittadini delle tre regioni avranno diritto a più risorse pro-capite per finanziare ad esempio la scuola, perché sono più ricchi. È vero che “avremo gli stessi soldi”; ma solo per il primo anno! Dal secondo anno in poi questo cambierà, in attuazione di un principio devastante dell’uguaglianza fra i cittadini: se vivi in un territorio più ricco hai diritto a più istruzione, più sanità. Per giunta, quanto peserà il “gettito fiscale” sarà nemmeno deciso dal Parlamento, ma da Commissioni paritetiche Stato-regione: cioè da tecnici nominati da Stefani, in contraddittorio (si fa per dire) con tecnici nominati da Zaia o da Fontana.
Ma tale principio  è un pericolo, anche, rispetto agli organici, alla mobilità. Quest’ultima diverrebbe il frutto di eventuali accordi tra regione e regione o tra Stato e regione, in alcune regioni una parte dello stipendio degli insegnanti dipenderebbe dai contratti di secondo livello, da incentivi e da premi che farebbero lievitare gli oneri fiscali per i contribuenti, l’ente regionale diventerebbe il datore di lavoro dei nuovi docenti a fronte di altri lavoratori nelle medesime scuole che rimarrebbero dipendenti statali, con la presenza di differenti categorie che fanno lo stesso lavoro.

Il Pubblico Impiego non è un bancomat, ma un pilone centrale dell’economia

Così come i precedenti governi sia di centro destra che di centro sinistra, l’attuale esecutivo gialloverde usa i lavoratori pubblici come un bancomat a cui attingere risorse.
Con l’ultima manovra abbiamo una proroga al blocco delle assunzioni fino al novembre 2019, le risorse attualmente stanziate per i rinnovi dei contratti pubblici, sono assolutamente ridicole. Tagli alla spesa pubblica che contribuiscono ulteriormente allo smantellamento dello Stato Sociale.
Grazie all’azione pluridecennale di politici di tutti i colori il pubblico impiego piano piano sta collassando. Grazie alla combinata azione calunniatrice delle forze politiche e della stampa, parte dell’opinione pubblica quasi ne gioisce pensando sia una giusta punizione per i “furbetti del cartellino”, ma c’è poco da gioire.
Quando la sanità non funziona per mancanza di personale, quando i trasporti pubblici non funzionano e i pendolari viaggiano su treni rotti, in ritardo che assumono sempre più l’aspetto di carri bestiame, quando l’istruzione subisce continui tagli e le scuole cadono a pezzi c’è poco da stare allegri. Quando lo Stato Sociale viene smantellato sono i lavoratori dipendenti, i disoccupati, i pensionati che ne pagano le conseguenze. Dirigenti strapagati, imprenditori, politici con cospicue rendite non ne sentono le conseguenze, possono permettersi di pagarsi visite private, di muoversi con la macchina di lusso e anche con l’autista.
Se si vuole fare un reale cambiamento e creare nuova occupazione i servizi pubblici devono essere uno dei capisaldi e come abbiamo dimostrato in un altro articolo i mezzi per trovare i fondi necessari ci sono, basta avere il coraggio di essere realmente diversi.

È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati!

Mercoledì 30 gennaio si è svolto un importante incontro con l’Amministrazione comunale sul tema delle politiche occupazionali. L’incontro era stato richiesto dalla RSU e dalle organizzazioni sindacali in seguito alle preoccupanti dichiarazioni del sindaco Sala e dell’assessore al Tasca, secondo i quali – a causa dei tagli operati dal governo sui trasferimenti ai comuni – non sarebbe stato possibile rimpiazzare i dipendenti andati in pensione nel 2018 e si sarebbero dovuti tagliare i servizi ai cittadini. La nostra posizione era quella di condannare i tagli operati dal governo ma, nello stesso tempo, di chiedere al Sindaco e alla giunta di rivedere eventualmente altre voci di bilancio ma di non tagliare le assunzioni necessarie a far funzionare i servizi comunali, che sono già in grave difficoltà.
L’esito dell’incontro non è stato purtroppo soddisfacente.
Sia l’assessora Tajani che il direttore generale Malangone hanno infatti dichiarato di condividere la necessità di realizzare il 100% del turn-over, ma di non essere in grado di garantirlo.
Della serie: “Vorrei ma non posso”.
Ovviamente le cose non stanno così. Si tratta infatti di prendere una decisione politica: investire nei servizi erogati quotidianamente ai cittadini o puntare su “grandi eventi” e “grandi opere”, tipo Expo 2015, Olimpiadi invernali, riapertura dei navigli?
Sulla base della risposta insoddisfacente ricevuta dai rappresentanti dell’Amministrazione comunale, noi delegati dello Slai e del Sial Cobas abbiamo chiesto alla RSU e alle altre organizzazioni sindacale di iniziare un percorso di informazione e mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori. La nostra richiesta non è però stata accolta, in quanto si è preferito aspettare di ricevere dalla controparte una  proposta di piano occupazionale “ufficiale”, con numeri e quantità economiche. Proposta che verosimilmente arriverà a fine marzo, a ridosso dell’approvazione definitiva del bilancio comunale 2019. Non condividiamo questo attendismo, che rischia di fare il gioco dell’Amministrazione comunale. Intanto il sindaco Sala non perde occasione per ribadire nelle sue interviste che non ha i mezzi per coprire le perdite di personale.
È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati!
Se vogliamo ottenere il risultato, dobbiamo mettere in campo da subito – prima che sia troppo tardi – la forza delle lavoratrici e dei lavoratori!

Quota 100. Una bomba ad orologeria per il pubblico impiego

L’approvazione della quota 100 rischia di divenire una bomba ad orologeria nel pubblico impiego.
Sia il governo che gli enti pubblici non sanno ancora quanti siano i lavoratori che usufruiranno della quota 100 per andare in pensione.
Molti lavoratori che posseggono i requisiti, non hanno ancora deciso perché i vari Caf debbono loro fornire risposte precise sull’importo dell’assegno previdenziale e su quanto andranno a perdere per l’anticipo pensionistico.
Ma le stime previsionali danno cifre importanti e soprattutto in settori strategici dello Stato Sociale. Infatti dovrebbero essere particolarmente interessati i lavoratori della sanità, dell’istruzione e degli enti locali.
Si ipotizza un totale di 160 mila pensionamenti di cui 70 mila nella sanità, 40 mila nella scuola e 50 mila negli enti locali.
Cifre importanti che potrebbero contribuire a svecchiare il settore che vanta il triste primato di essere con l’età media più alta d’Europa.
Però l’attuale governo ha al momento prorogato a novembre 2019 il blocco delle assunzioni in alcuni settori del pubblico impiego, in continuità con le politiche dei governi precedenti.
I servizi pubblici sono già in forte sofferenza per la carenza di personale, un esodo di tale portata rischia di avere effetti devastanti.
Negli enti locali la stima di 50 mila pensionamenti equivale a circa il 10% della manodopera totale.
Occorre ottenere lo sblocco delle assunzioni e assumere in grandi quantità e di questa lotta dobbiamo prendercene carico noi lavoratori.
I politici che oggi contestano queste misure e che si mettono a capopopolo sono quelli che con la complicità del centrodestra hanno perpetrato il blocco decennale dei contratti e delle assunzioni. Quei sindacati che oggi si ergono a paladini sono gli stessi che poco o niente hanno fatto contro queste politiche.
Noi lavoratori dobbiamo autorganizzarci e lottare, chi vuole ci venga dietro, ma noi lavoratori dobbiamo essere la locomotiva!
Tutto ciò ci convince ancor di più che nell’ambito del comune di Milano sia un errore non mobilitare subito i lavoratori, ma attendere le posizioni ufficiali dell’amministrazione.
Già il precedente piano occupazionale aveva i suoi forti limiti, poi l’ultima trovata del programma Talenti che di fatto taglia fuori la quasi totalità dei lavoratori in fascia B ci deve far riflettere su chi abbiamo difronte.
Un giunta che di fatto vuol pensare al potenziamento delle fasce più alte senza tener conto che in realtà non servono i generali o gli ufficiali, ma i soldati.
Diversi settori sono in sofferenza e tanti servizi hanno subito tagli, bisogna invertire questa tendenza, ma con fatti concreti non con i vorrei, ma non posso!

8 marzo. Uno sciopero da non sottovalutare

Il prossimo 8 marzo su iniziativa di Non Una Di Meno, per il terzo anno consecutivo, si terrà uno sciopero mondiale, per i diritti delle donne, del mondo Lgbt, degli stranieri di tutti coloro che vengono visti come “diversi” e per questo disprezzati, emarginati, bullizzati.
Ma come nel 2019, ancora siamo agli scioperi femministi? Ma è roba ormai passata…
Ebbene no! Anzi, oggi più che mai è necessario far sentire la propria voce.
La violenza contro le donne (femminicidi, stupri, violenza domestica), continua ad avere numeri di assoluta emergenza.
La discriminazione nei luoghi di lavoro continua ad essere un fatto reale.
L’avvento del governo gialloverde ha influenzato negativamente un’ambiente già inquinato.
Con questo governo, le voci reazionarie, oscurantiste che vorrebbero ricacciare le donne ad un ruolo subalterno e succube.
Sintomatico è il Dll Pillon, le voci sempre più alte che si alzano contro il diritto all’aborto, la modifica della legge sull’aspettativa per maternità che in realtà un peggiorativo non un’opportunità.
Non dimentichiamo la sempre maggiore insofferenza verso il “diverso” che sia immigrato o omosessuale o altro.
Quindi uno sciopero a difesa della L. 194 e per il potenziamento della rete nazionale dei consultori; per il ritiro del ddl Pillon su separazione a affido, per opporsi al diritto di lavorare fino al giorno del parto, introdotto da questo governo. Uno sciopero a difesa di chi viene considerato diverso, per il colore della pelle, per gli orientamenti sessuali o per mille altri motivi.
Un’aria pesante che non si respira solo in Italia, ma purtroppo a livello globale. Non dimentichiamo le dichiarazioni del nuovo presidente del Brasile Bolsonaro, che in campagna elettorale non ha lesinato beceri attacchi contro le donne, i “diversi”, gli indios.
Quindi oggi più che mai, questa giornata di sensibilizzazione è attuale e merita la nostra attenzione.
Una giornata di lotta, che non sia un’evento sporadico, ma una presa di coscienza dell’importanza di queste tematiche. Una giornata di lotta da cui ripartire non solo per i diritti civili, ma più in generale per i diritti sul campo del lavoro. Non dobbiamo dimenticarci che le due cose non vanno mai separate, ma devono camminare in parallelo.
La grave colpa della finta sinistra come il Pd è proprio quella di aver usato lo specchietto delle allodole dei diritti civili per smantellare quelli sul lavoro. Il Jobs Act grida ancora vendetta. Non serve fare la leggina che tutela il più debole se poi può essere più facilmente licenziabile grazie al Jobs Act. Allora tutti in piazza in difesa delle donne, in difesa dei più deboli, degli emarginati, ma anche per rivendicare ad alta voce i nostri diritti nel campo del lavoro, nel campo dello Stato Sociale, nella sicurezza sul lavoro. Per una società dove l’unico emarginato sia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo!

Sul sito di non una di meno potete trovare maggiori informazioni.

Assemblee

Martedì 5 marzo

  • ore 10-12     Dc SIAD via G.B. Vico, 18

Mercoledì 6 marzo

  • ore 10-12     Dc Bilancio Entrate — Via Bezzecca, 24
  • ore 12-14     Area Biblioteche — Via Bezzecca, 24

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