Contro la restaurazione del governo Draghi

La risposta dei lavoratori non può farsi attendere

La crisi sanitaria scoppiata con l’emergenza Covid ha ulteriormente aggravato le precarie condizioni economiche che già vivevamo. È oggi sotto gli occhi di tutti l’utilizzo capitalistico dell’intreccio di tali crisi, per promuovere piani di ristrutturazione produttiva già da tempo auspicati dalle governance dell’UE e dal Fondo Monetario Internazionale. I padroni perseguono una flessibilizzazione estrema del mondo del lavoro, per liberarsi dei vecchi contratti che hanno maggiori tutele e stipendi. Si amplia la libertà di utilizzo di somministrazioni di manodopera e contratti a termine, favorendo esternalizzazioni al ribasso e delocalizzazioni, aumentando i ritmi e diffondendo contrattazioni peggiorative con il beneplacito dei sindacati di stato.

La crisi pandemica ha inoltre messo drammaticamente a nudo lo sfascio del sistema sanitario, prodotto da una politica ultradecennale di tagli e privatizzazioni, così come la distruzione dei servizi sociali (istruzione, trasporti, asili nido, ecc). Il risultato di questo sistema incentrato solo sul profitto privato, ha avuto effetti drammaticamente visibili in Lombardia, con ospedali e rsa al collasso e oltre 30 mila decessi.

Il governo Draghi, lungi dall’invertire questa tendenza, continua ad alimentarla, come dimostra la liberalizzazione dei subappalti e l’utilizzo dei fondi del PNRR, gran parte dei quali sono destinati ai padroni e agli speculatori, cioè i primi responsabili della crisi economica e del disastro sanitario e sociale cui abbiamo assistito in quest’anno e mezzo di pandemia. Di sicuro non saranno utilizzati per rafforzare i servizi pubblici, dal momento che la CE ne ha espressamente vietato l’uso per l’assunzione stabile di personale. Inoltre, col pretesto della velocizzazione delle procedure si evitano i controlli necessari sulle gare d’appalto, favorendo così le mafie.

Milano è una città in cui, dietro agli eventi e alle vetrine, al consumo e al divertimento, c’è la punta più avanzata di un sistema di sfruttamento diffuso. Tutte le contraddizioni di questo sistema sono esplose con l’emergenza sanitaria provocata dal COVID. Chi ne sta facendo veramente le spese sono i lavoratori e le lavoratrici, soprattutto quelli con contratti precari e ultra flessibili che inondano la città nei viali dello shopping, nelle aziende di servizi, nei centri commerciali e che ancora oggi sono senza alcuna protezione.

Di fronte a questo scenario vi è la necessità e l’urgenza di una risposta decisa, compatta e coordinata: per questo tutto il sindacalismo di base ha dichiarato sciopero per l’11 ottobre, come inizio per una mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori per rispondere alle pesanti misure antioperaie del padronato. La risposta dei lavoratori non può farsi attendere:

  • Contro lo sblocco dei licenziamenti e per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
  • Aumenti salariali forti; salario medio garantito per i disoccupati e sistema unico di ammortizzatori sociali per garantire la continuità del reddito. Rivalutazione delle pensioni.
  • Contro i ricatti e le sospensioni del reddito.
  • Abrogazione del Jobs Act e dei contratti precari.
  • Rilancio degli investimenti pubblici in sanità, trasporti, scuola, casa. Contro lo sblocco degli sfratti, per un nuovo piano di edilizia residenziale pubblica.
  • Per il rafforzamento della sicurezza dei lavoratori, dei sistemi ispettivi e del ruolo delle RLS.
  • Lotta contro i grandi evasori.
  • Contro ogni discriminazione di genere e di razza.
  • Tutela dell’ambiente, blocco delle grandi opere speculative.
  • Contro la repressione degli scioperi e delle lotte sociali.
  • Per una vera democrazia nelle aziende: contro il monopolio delle organizzazioni sindacali concertative, per dare ai lavoratori il potere di decidere chi deve rappresentarli.

Lunedì 11 OTTOBRE – SCIOPERO GENERALE

CONCENTRAMENTO SOTTO ASSOLOMBARDA (CONFINDUSTRIA)

IN VIA PANTANO 9 – ORE 10.00

CONFEDERAZIONE COBAS – CUB – SGB – SLAI COBAS – USB – USI CIT

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