Pandemia: quali diritti sacrificare?

 

In questo stato di cose eccezionalmente grave per l’intera umanità, mentre non vi è stata alcuna cautela ad immolare tutti i diritti di libertà degli individui; nessuno, tuttavia, si è permesso di mettere in discussione il diritto allo sfruttamento commerciale della proprietà intellettuale, come se le prerogative delle Big Pharma fossero gli unici principi degni di una tutela assoluta a livello universale.

Nessuno sembra aver pensato che, in una condizione di tal genere, non solo sarebbe ammissibile, ma, anzi, doveroso che gli Stati adottino provvedimenti autoritativi in deroga alle norme sullo sfruttamento commerciale dei diritti di proprietà intellettuale, e, quindi, al regime di monopolio riconosciuto alle industrie farmaceutiche, favorendo la disponibilità e l’accessibilità ai vaccini e/o ai trattamenti sanitari per combattere il Covid-19 a tutti coloro che ne hanno interesse e, quindi, permettendo la produzione di massa del prodotto in ogni Paese

 

Al Governo italiano

presidente@pec.governo.it

(riceve anche da casella di posta elettronica non certificata)

 

Pandemia: quali diritti sacrificare?

Con l’intento di arginare e gestire la diffusione della pandemia, i Governi nazionali del mondo globale hanno, all’unisono, ritenuto, con un profluvio impressionante di polimorfe fonti normative, la cui adozione è stata ipso facto giustificata dalla dichiarazione della situazione emergenziale sanitaria, di fare tabula rasa dei diritti fondamentali dell’individuo e delle libertà democratiche, comprimendoli fino a negarli: dal diritto inalienabile alla libertà personale tout court, sino alle libertà di circolazione, di riunione, di professare la propria fede religiosa nei luoghi di culto, al diritto allo studio, al lavoro, alla salute medesima.

Di fronte a un tale esercizio del potere mai visto prima nelle moderne democrazie e semplicemente giustificato con lo stato d’emergenza – con tratti marcatamente autoritari manifestati con la tendenza alla centralizzazione, personalizzazione e tecnicizzazione – poche voci si sono levate in difesa dello stato di diritto e dei principi che fondano la nostra civiltà giuridica, nonostante il rischio che la drastica compressione degli spazi di libertà e le invalse violazioni delle garanzie giuridiche potessero spianare la strada ad operazioni di erosione duratura dei diritti individuali e sociali.

Gli stessi tecnici del diritto, salvo rare eccezioni, hanno assecondato la tendenza crescente ad usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo, sostanzialmente accettando la sistematica compressione delle libertà personali, senza che i governi, in diversi casi, coinvolgessero gli altri organi costituzionali nella gestione della situazione.

Se è vero, dunque, che la salute può essere considerata la precondizione perché tutti gli altri diritti possano essere goduti in concreto, è altrettanto indubitabile che non possa a priori rinunciarsi ad una riflessione sulla necessità di un collegamento “disciplinato” tra la situazione emergenziale e le misure adottate per farvi fronte, le quali, appunto, dovrebbero essere studiate e valutate in quanto proporzionate ed idonee a superare l’emergenza e non “pensate” nel breve termine, come mera fuga dal presente e sollievo momentaneo per far scomparire, per qualche tempo, a livello sanitario, i sintomi più gravi dell’emergenza.

E’ evidente che la mera ipotesi di riproposizione, ad libitum, di nuovi lockdown e delle limitazioni, che li caratterizzano, non è una risposta sufficiente ad arginare la pandemia, ma anzi ne aggrava i danni di natura socio-economica.

Rispetto a ciò, tuttavia, si deve rimarcare la carenza di proposizioni da parte delle forze politiche, ridotte alla pura amministrazione dell’esistente, all’adozione di provvedimenti limitativi della libertà personale e alla dispersione scoordinata delle risorse, perché non in grado di individuare soluzioni idonee a porre rimedio alle conseguenze, anche economiche e sociali, dell’emergenza sanitaria; oppure, impegnate a organizzare manifestazioni, con dichiarazioni formali bellicose inversamente proporzionali alla loro reale autorità e capacità d’agire, sfociate essenzialmente nella rivendicazione pubblica della libertà di non usare la mascherina: dispositivo unanimemente riconosciuto in grado di arginare la diffusione del contagio.

Neppure esenti da responsabilità si sono rilevati essere gli specialisti e i tecnici (ossia i consulenti e le task force sanitarie), a cui i Governi hanno spesso delegato e, quindi, in concreto, attribuito le decisioni in ordine alle misure di contenimento del contagio, anche al fine di ammantare di autorevolezza scientifica soluzioni, in molti casi, difficilmente condivisibili e, comunque, non risolutive dei problemi.

Con riferimento al ruolo pubblico degli scienziati, emblematica in tal senso è la storia “fluttuante” della mascherina, quale dispositivo di protezione individuale, ritenuta inutile, anche dall’OMS, oltreché dalla maggioranza degli esperti, nel frangente in cui, al pari di altri prodotti medicali e strumenti diagnostici, se ne registrava, sul mercato, la perdurante scarsità e, poi, ritenuta (giustamente) indispensabile, una volta divenuta bene reperibile.

In sostanza, la comunità scientifica non ha mai ritenuto di richiedere, con forza, interventi, anche di carattere autoritativo, ai pubblici poteri, per poter implementare i dispositivi e le procedure più idonee a contrastare l’epidemia, concentrandosi, essenzialmente, ad “incalzare” chiusure totali, nonostante l’evidente compromissione di tutti i diritti fondamentali dell’individuo, dimenticando, però, che siffatte misure non possono che essere circoscritte nel tempo, e non reiterabili ad oltranza, in quanto insostenibili per una pluralità di ragioni.

In questo quadro, ad oggi, il virus è tutt’altro che debellato, anzi, nell’ultima settimana, si registrano una serie di record negativi: il totale dei decessi ha raggiunto una media di 15-20 mila morti al giorno e, negli ultimi mesi, il tasso di mortalità giornaliero è ancora in aumento: alla fine di novembre, il mondo aveva superato la quota dei 10mila morti giornalieri di coronavirus. Un dato salito a 11 mila a metà dicembre, 12 mila l’8 gennaio, per arrivare a 13 mila tre giorni dopo e impennare ad oltre 18.000 nelle ultime 24 ore.

Semplicemente gettando uno sguardo all’Italia (che in 509 giorni ha adottato 52 decreti e 500 misure Covid), le conseguenze sono devastanti, anche sul piano dei rapporti sociali ed economici. Il mondo del lavoro è in ginocchio: la pandemia, richiamando solo alcuni titoli di giornali, ha cancellato trentamila liberi professionisti, così come duecentomila lavoratori autonomi e centodiecimila operai rischiano il posto di lavoro. In Liguria, ad esempio, una persona su tre è inattiva; i lavoratori precari da Napoli alla Sicilia sono senza stipendio da ottobre in una condizione di deriva liminale, della cui durata non sanno nulla; a Bari è fallita l’ex azienda del direttore dell’Arpal; il settore commerciale versa in una condizione di stallo e di incerta transitorietà, in cui al calo del fatturato ha fatto seguito il solo rimborso spesso simbolico e, comunque, parziale dei costi fissi e le vendite in picchiata, nonostante i saldi, non hanno rilanciato i consumi. Il risultato? un’Italia in svendita, dall’industria al turismo, dal lusso all’agroalimentare e, infatti, il Fondo Monetario Internazionale taglia ulteriormente le stime sul Pil Italiano.

In molti altri Paesi, la situazione è anche peggiore.

Nonostante lo scenario drammatico a livello mondiale e il declino socio-economico in atto, le aziende farmaceutiche, che hanno preparato i vaccini (Pfizer, Moderna, AstraZeneca) approvati o in fase di approvazione, hanno annunciato o attuato, senza neanche chiedere l’assenso, un taglio delle forniture, cosicché l’ipotizzata immunità di gregge per il prossimo autunno è sempre più una chimera e sullo slittamento del raggiungimento dell’obiettivo per la fine dell’anno non v’è alcuna certezza, tant’è che gli esperti non si sbilanciano. Nel frattempo, il virus si diffonde, muta ed esiste il concreto pericolo che i vaccini approvati, fra qualche tempo, saranno inefficaci.

Il costo del vaccino – è stato detto – si aggira intorno a circa 30 euro (Pfizer) e a circa 7/8 euro (AstraZeneca), mentre un lavoratore dipendente in cassa integrazione, con la qualifica più bassa, costa, per ogni giorno in cui si protrae questa situazione, quantomeno il doppio del prezzo del vaccino. Per altre categorie, i costi sono difficilmente stimabili, ma certo di entità ben superiore, col ché, a causa della mancanza della vaccinazione di massa, la spesa pubblica lievita, costantemente, a livelli esponenziali.

Risulta, quindi, penoso lo scontro giornaliero tra le forze politiche, volto a comporre una compagine governativa adeguata a risolvere i problemi determinati dal coronavirus. E’, ormai, evidente, come dimostrato dalla sorte dei più disparati governi nel mondo, che non vi è soluzione politica in grado di far fronte alle conseguenze della diffusione della pandemia.

Non è, infatti, sostenibile mantenere ulteriormente (per un anno o, forse, di più) una condizione, in cui muoiono ogni giorno migliaia di persone per il covid 19 e caratterizzata dalla sospensione e/o riduzione a tempo indeterminato della attività produttive, dal continuo finanziamento della cassa integrazione, dalla paralisi e/o, comunque, dal carente funzionamento della Pubblica amministrazione e degli enti pubblici, dalla sospensione delle attività di studio, dalla caduta verticale dei consumi, dal fallimento delle aziende (tutto ciò sacrificando le libertà fondamentali dell’individuo), con costi abnormi, che aggravano la già esorbitante condizione debitoria degli Stati, con ricaduta sulle generazioni future.

L’unica soluzione, pertanto, può essere individuata nella somministrazione del vaccino su larghissima scala, obiettivo in relazione al quale dovrebbero essere protese e concentrate tutte le iniziative, le risorse, le forze pubbliche e private disponibili.

In questo stato di cose eccezionalmente grave per l’intera umanità, mentre non vi è stata alcuna cautela ad immolare tutti i diritti di libertà degli individui; nessuno, tuttavia, si è permesso di mettere in discussione il diritto allo sfruttamento commerciale della proprietà intellettuale, come se le prerogative delle Big Pharma fossero gli unici principi degni di una tutela assoluta a livello universale.

Nessuno sembra aver pensato che, in una condizione di tal genere, non solo sarebbe ammissibile, ma, anzi, doveroso che gli Stati adottino provvedimenti autoritativi in deroga alle norme sullo sfruttamento commerciale dei diritti di proprietà intellettuale, e, quindi, al regime di monopolio riconosciuto alle industrie farmaceutiche, favorendo la disponibilità e l’accessibilità ai vaccini e/o ai trattamenti sanitari per combattere il Covid-19 a tutti coloro che ne hanno interesse e, quindi, permettendo la produzione di massa del prodotto in ogni Paese, anche riconoscendo una giusta remunerazione per lo studio e la ricerca dei vaccini utilizzati.

Al fine di evitare eventuali altre problematiche analoghe relativamente alla produzione e alla messa a disposizione di mezzi per la cura della salute, in caso di altre eventuali pandemie e/o diffusione di malattie su larga scala, è manifesta l’impellente necessità di stabilire regole di carattere internazionale, che escludano monopoli nella vendita e nella produzione di vaccini e di farmaci, garantendo all’umanità la possibilità di fruirne liberamente.

Se siete d’accordo, quindi, vi chiediamo di sottoscrivere queste semplici riflessioni, trasformandole in un messaggio, da diffondere il più possibile (mettendoci in copia), al fine di sensibilizzare i governi e le autorità competenti.

Milano, 29.1.2021

 

Mirco Rizzoglio

 

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